Cosa si intende con il termine fidelizzazione

L’utilizzo del concetto di fidelizzazione nel discorso pubblico è ambiguo e genera confusione su quale sia l’obiettivo e quali siano le azioni che l’azienda deve attuare. Rimane sempre latente la domanda se, tolta la patina di retorica, l’unico interesse delle aziende sia trattenere il cliente al minor costo possibile. La risposta a questa domanda è dipende. Vedremo come andare a cercare nei dati della propria azienda indicazioni specifiche per il proprio contesto.

Si deve ricordare che una delle pietre miliari delle strategie di fidelizzazione ha costruito una forte identificazione tra cliente e azienda. Negli anni ‘90, un importante brand della Grande Distribuzione Organizzata, Esselunga, ha introdotto la prima carta fedeltà nel mercato italiano.

La fonte di ispirazione per i manager dell’azienda furono alcune strategie similari già validate negli Stati Uniti. Non va trascurato che il suo principale concorrente, Coop, prevede un meccanismo di tesseramento con il quale il cliente diventa socio della cooperativa. Lo sviluppo di un forte senso di appartenenza è una conseguenza facilmente prevedibile.

In questo contesto, il lancio della tessera fedeltà di Esselunga ha svolto un ruolo più ampio del semplice incentivo a tornare all’acquisto, e a registrarsi con i propri dati, come vedremo meglio più avanti. La tessera fedeltà ha assunto un significato identitario e ha rappresentato un segno tangibile, sempre presente nel portafoglio, di una scelta emotivamente coinvolgente per il cliente.

Con il passare degli anni e l’esplosione delle carte fedeltà, questo fenomeno non si è più replicato con modalità così evidenti, fino ad arrivare alla smaterializzazione della tessera, ormai sostituita da una app sullo smartphone. È rimasto nell’uso comune un significato connesso alle emozioni, spinto anche dal termine che venne scelto, scomodando l’idea di fedeltà.

Conservare o trattenere il cliente?

Le strategie basate su carte fedeltà sono state orientate, fin dalle loro origini, a “conservare il cliente”. Questo concetto viene poco utilizzato con questa espressione, in quanto si preferisce mantenere la sua forma inglese “customer retention”, che, quando viene tradotta, diventa quasi sempre “trattenere il cliente”. Una forma che evidenzia la parte più oscura della customer retention, quella che contrappone le esigenze dell’azienda e quelle del cliente. Trattenere richiama l’idea che venga fatto contro la volontà del cliente.

Diverse aziende hanno realizzato strategie di customer retention basate su vincoli creati per impedire al cliente di andarsene. Queste aziende trattengono i clienti puntando su costi di switching (passaggio a un competitor) elevati – oneri economici per la chiusura del contratto. Altro esempio sono le procedure di abbandono particolarmente complesse e quindi scoraggianti per il quantitativo di tempo e di energie che il cliente deve dedicare loro. A conti fatti queste azioni forzano la decisione del cliente di mantenere attivo il legame con l’azienda.

La definizione di customer retention che include il concetto di conservazione ha il pregio di ricordare che il cliente ha un ruolo attivo, e può decidere di andarsene qualunque siano gli sforzi e i vincoli dell’azienda per trattenerlo. Evidenzia anche un altro aspetto che le ricerche hanno osservato: l’idea di customer retention è connessa con l’approccio di centralità del cliente, che non si concilia con la visione che vede forzare le scelte del cliente come qualcosa di utile per l’azienda.

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